'Nnaltro'
libro pazzesco. A 30 secondi di lettura al massimo, trovi un brivido di
stupore. Nori usa la lingua come una fisarmonica, no... no... no...: trasforma
la lingua italiana in questo strumento. Il solito Ermanno Baistrocchi ci
racconta delle sue brave lezioni di "Giornalismo disinformato", una
specie di scuola di scrittura creativa e ricreativa. Ma mentre deve
raccontarlo, per obbligo forse di legge s'intuisce da subito, a qualcuno in
particolare. Perché qualcosa di strano davvero è accaduto. Un avvenimento che,
ma molto vagamente, sa di giallo. Come si capisce all'inizio ma - ovvio -
meglio alla fine del romanzo: ché nelle cucina d'Ermanno Baistrocchi era steso
un morto! Mentre l'assillo lavorativo era di scrivere il nuovo romanzo
commissionato dal suo editore. Operazione di mestiere, però, che questa volta
Baistrocchi non riusciva proprio a farsi scendere in gola. E rimandava la
stesura del libro, rinviava il tempo della scrittura. Davvero? Quando, dopo la
prima esperienza con il giornale di sinistra "La canaglia" aveva
anche accettato una proposta di collaborazione giornalistica al destro "La
marmaglia". (Allora i redattori del primo, certo, l'avevano debellato
dall'elenco dei sostenitori attivi del loro giornale militante). Facendo, però,
il giornalismo disinformato che poi spiegava al suo gruppo di partecipanti alla
scuola, di giornalismo disinformato. Per intenderci meglio, fra le
caratteristiche del giornalismo disinformato ci sono pure le interviste alla
gente 'normale' e dire sempre le cose che non si possono dire. Ecco,
nuovamente, l'epos del quotidiano. Parmigiano (con due 'p'), il nostro autore,
fine traduttore di classici e meno classici russi, inventore di collane
editoriali "atipiche", capace d'inventarsi per esempio un romanzo
come "La banda del formaggio" - Marcos y Marcos, Milano, 2013 -
qualcosa sul suo spazio telematico l'aveva anticipato. Ma quando prendiamo
tutto assieme, vediamo trasformarsi in opera letteraria una dichiarazione del
Nori: "Quando ho cominciato a scrivere avevo il computer su un tavolo che
era contro un muro, e scrivevo guardando questo muro e la mia attenzione era
tutta verso l’alto, il triangolo che percorrevo per ore, nella mia testa, era
tra me, il computer e il cielo della letteratura dal quale cercavo di attingere
quelle parole, quelle espressioni, quella sintassi che avrebbero fatto di me un
maestro di stile, e scrivevo in una lingua dalla quale non si capiva, non si
doveva capire, che io ero di Parma, nel cielo della letteratura non c’era
Parma, non c’eran confini comunali, provinciali, regionali, c’eran delle altre
cose, c’era il premio Nobel, c’eran dei busti un po’ impolverati, c’era la
legge Bacchelli e dietro, là in fondo, c’era la crusca, e i cruscanti, che si
intravedevano appena ma restava il dubbio sulla loro natura a metà tra l’umano
e il divino. Dopo sei mesi circa che scrivevo tutti i giorni con questa
aspirazione al cielo della letteratura, mi hanno invitato a una rivista (si
chiamava Il semplice) dove, per capire se i racconti erano belli o no, li
leggevano ad alta voce, e io, quando son tornato a casa ho provato anch’io a
leggere le mie cose ad alta voce e pian piano le cose che scrivevo si sono
macchiate della lingua del posto dove le scrivevo (Parma), e le cose da
scrivere non mi venivan più dall’alto, mi venivan su da tutte le parti e quel
triangolo lì, io – computer – cielo della letteratura, è diventato un triangolo
con un vertice infinito, è diventato io – computer – mondo, credo che
grossomodo sia successo così". Come non leggere questo minutarista?
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